Il COFADEH (Comité de Familiares de Detenidos Desaparecidos en Honduras), ha raccolto testimonianze di vicini di Renán che parlano di auto senza targa e con i vetri oscurati che da giorni giravano intorno all’abitazione. Renán era un artista, Internet è piena di foto realizzate da lui e che restano a ricordarlo, ma era soprattutto un militante democratico. Aveva girato in lungo e in largo il paese fino al 28 giugno per parlare e creare coscienza nel popolo “catracho” rispetto alla necessità di un’Assemblea Costituente (il motivo del golpe fu evitarla) e poi negli ultimi sei mesi aveva lavorato costantemente per la Resistenza, partecipando a tutte le attività, manifestazioni, marce, che aveva ripreso con la sua macchina fotografica. Da giorni riceveva SMS di minacce ed era spaventato. Evidentemente aveva ragione e gli squadroni della morte sono puntualmente arrivati a colpire una volta di più in maniera selettiva la parte più cosciente del popolo honduregno.
Lapilli nr.29 - Dicembre 2011
sabato 26 dicembre 2009
Natale di sangue in Honduras
Con la complicità dei media che hanno fatto calare il silenzio sull’Honduras “pacificato” dal dittatore di Bergamo Alta Roberto Micheletti, per il quale la ONG “America's Democracy Watch” raccoglie le firme per il Nobel per la Pace, il Natale a Tegucigalpa è un Natale di sangue con il ritrovamento del corpo straziato di Renán Fajardo, 22 anni, laureando in architettura, e membro attivo della Resistenza in Honduras. È l’ennesimo omicidio mirato in un paese dove gli anni ’70 e la guerra sporca non sono mai finiti. La famiglia lo aspettava per festeggiare il Natale ma Renán da due giorni non dava più segni di vita. Fino a che un amico è andato a cercarlo a casa. La scena che ha trovato è stata quella di tutti gli squadroni della morte di decenni di guerra sporca contro chi resiste in America latina. La casa era sottosopra e il corpo di Renán, con evidenti segni di violenza, era stato lasciato in modo da mal simulare un suicidio e sono stati sottratti dall’appartamento sia il computer che la macchina fotografica di Renán.
Il COFADEH (Comité de Familiares de Detenidos Desaparecidos en Honduras), ha raccolto testimonianze di vicini di Renán che parlano di auto senza targa e con i vetri oscurati che da giorni giravano intorno all’abitazione. Renán era un artista, Internet è piena di foto realizzate da lui e che restano a ricordarlo, ma era soprattutto un militante democratico. Aveva girato in lungo e in largo il paese fino al 28 giugno per parlare e creare coscienza nel popolo “catracho” rispetto alla necessità di un’Assemblea Costituente (il motivo del golpe fu evitarla) e poi negli ultimi sei mesi aveva lavorato costantemente per la Resistenza, partecipando a tutte le attività, manifestazioni, marce, che aveva ripreso con la sua macchina fotografica. Da giorni riceveva SMS di minacce ed era spaventato. Evidentemente aveva ragione e gli squadroni della morte sono puntualmente arrivati a colpire una volta di più in maniera selettiva la parte più cosciente del popolo honduregno.
Il COFADEH (Comité de Familiares de Detenidos Desaparecidos en Honduras), ha raccolto testimonianze di vicini di Renán che parlano di auto senza targa e con i vetri oscurati che da giorni giravano intorno all’abitazione. Renán era un artista, Internet è piena di foto realizzate da lui e che restano a ricordarlo, ma era soprattutto un militante democratico. Aveva girato in lungo e in largo il paese fino al 28 giugno per parlare e creare coscienza nel popolo “catracho” rispetto alla necessità di un’Assemblea Costituente (il motivo del golpe fu evitarla) e poi negli ultimi sei mesi aveva lavorato costantemente per la Resistenza, partecipando a tutte le attività, manifestazioni, marce, che aveva ripreso con la sua macchina fotografica. Da giorni riceveva SMS di minacce ed era spaventato. Evidentemente aveva ragione e gli squadroni della morte sono puntualmente arrivati a colpire una volta di più in maniera selettiva la parte più cosciente del popolo honduregno.
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Etichette: honduras, informazione, libertà di stampa, saquadroni della morte
giovedì 24 dicembre 2009
Primo anniversario di Piombo Fuso: Gaza è ancora devastata.
Infopal.it 2009-12-24
Gaza - Un giorno che non può essere cancellato dalla memoria del mondo intero. Aerei da guerra sfrecciano nel cielo e lanciano missili e bombe sulle sedi delle amministrazioni, sulle abitazioni e sui civili innocenti. Intere famiglie sterminate, case rase al suolo, esplosioni e urla di mamme e bambini… le sirene delle ambulanze che non smettono mai di suonare. Questa è la scena che si vive a Gaza a mezzogiorno del 27 dicembre 2008.
Quel giorno, le forze di occupazione israeliane hanno perpetrato i crimini più incredibili e orrendi contro le persone e le cose. Quella data ha segnato infatti l'inizio dell’aggressione alla Striscia di Gaza (un fazzoletto di terra di appena 360 chilometri quadrati, lunga circa 40 km e larga appena 9) sotto falsi pretesti: l'eliminazione di Hamas, votato dal popolo palestinese, e la liberazione di Gilad Shalit, il soldato israeliano catturato dai gruppi della Resistenza palestinese. Ma Hamas è rimasta dov’era e Shalit non è stato liberato.
Omicidi di massa
Nello stesso periodo, oltre 50 aerei da guerra hanno attaccato più di 200 obiettivi nella Striscia di Gaza. In soli due minuti hanno distrutto la maggior parte delle sedi della polizia nella Striscia e hanno ucciso più di 220 cittadini, ferendone oltre 600. Ma i micidiali aerei da guerra non si sono fermati lì: hanno continuato a bombardare la Striscia di Gaza per otto giorni consecutivi, colpendo le case di civili che non hanno a che fare con la Resistenza, le ambulanze, i centri dell'agenzia delle Nazioni Unite, l'UNRWA, per non parlare di scuole e ospedali, pieni di decine di migliaia di sfollati.
Dopo questi otto giorni, centinaia di carri armati e truppe di terra hanno invaso le città e i campi profughi vicini alla frontiera, cancellando interi quartieri abitati. Secondo le statistiche delle Nazioni Unite e delle organizzazioni per i diritti umani nella Striscia di Gaza, 11.154 sono le case distrutte dalle forze israeliane nel corso dei 23 giorni di guerra contro Gaza: 3.632 quelle distrutte del tutto, 8.522 quelle distrutte parzialmente, mentre le case danneggiate lievemente sono circa 52.000.
Interi quartieri rasi al suolo
A causa della distruzione di quelle case, decine di migliaia di famiglie adesso vivono all'aperto, senza riparo. Al momento della stesura di questo articolo, mercoledì 23 dicembre 2009, secondo un censimento delle Nazioni Unite le persone che vivono senzatetto, a seguito della distruzione delle loro case, sono 107.509, tra cui ovviamente bambini, anziani, donne...
Nonostante le numerose promesse di diversi organismi ufficiali internazionali riguardanti la ricostruzione delle case distrutte – promesse fatte durante la ‘Conferenza dei donatori’ svoltasi a Sharm el-Shaykh, in Egitto, dopo l’aggressione israeliana a Gaza -, tali buone intenzioni non si sono ancora concretizzate. Il volume delle perdite stimate durante quella conferenza ammontava a due miliardi di dollari.
Il corrispondente di Infopal.it a Gaza ci propone un caso tra le migliaia di persone che vivono senzatetto e che attendono che questa situazione cambi, ovvero che i cosiddetti ‘donatori’ attuino le loro promesse e gli occupanti israeliani tolgano l'immorale embargo imposto alla Striscia di Gaza.
Si tratta del caso della famiglia di Mohammad Khader, composta da tre membri: due femmine e un maschio, tutti affetti da malattie croniche: il fratello maggiore ha 50 anni ed è infermo, mentre le due sorelle soffrono di malattie cardiache e di problemi muscolari. Questa famiglia ha perso la propria casa il dodicesimo giorno dell’aggressione a Gaza, quando gli aerei da guerra israeliani hanno bombardato il quartiere dove abitavano, il quartiere as-Salam (la Pace, ndr), a nord della Striscia. Lì gli israeliani hanno demolito tutto, e fortunatamente la Croce Rossa ha prontamente evacuato gli abitanti del quartiere prima che venisse distrutto totalmente dagli aerei e dai carri armati israeliani.
Su‘ad, la sorella maggiore, ci ha guardato con le lacrime dell'angoscia e del dolore, ma all'improvviso ha detto ad alta voce: "Ogni giorno vengono i vari media e ci intervistano per puntare i riflettori sulla nostra sofferenza, ma non vediamo nessuno che si dà da fare concretamente. Io, mio fratello e mia sorella abbiamo bisogno di cure, in particolare la mia sorellina che ha bisogno di medicine per 250 dollari al mese, una somma esorbitante che non abbiamo e che possiamo ottenere solo attraverso l'aiuto di alcune organizzazioni locali".
Questa famiglia, che vive in una tenda di stoffa ricevuta dall'agenzia delle Nazioni Unite UNRWA, rivolge dunque un appello agli spiriti liberi di tutto il mondo affinché la aiutino a ricostruirsi una casa per proteggersi dal freddo dell'inverno e dalla pioggia che scorre sotto i loro piedi mentre stanno nella tenda, per non parlare della mancanza di coperte adatte…
Distruzione sistematica
L’aggressione contro Gaza non si è limitata a colpire gli uomini e le abitazioni. Gli israeliani hanno distrutto intenzionalmente l'economia della Striscia di Gaza: 211 stabilimenti industriali, che vanno dalle fabbriche tessili alle ferriere, dalle industrie chimiche alle fabbriche di laterizi, oltre al danneggiamento di ben 721 attività commerciali, che ha lasciato migliaia di persone senza lavoro. Perciò, il tasso di disoccupazione ha raggiunto livelli record anche in confronto ai Paesi più poveri del mondo. Infatti, secondo le recenti statistiche delle Nazioni Unite, essa è aumentata a causa dell’ininterrotto embargo israeliano imposto alla Striscia di Gaza, al quale si è aggiunta l’aggressione dell’inverno scorso: adesso siamo al 73%, col reddito pro capite che è inferiore a un dollaro al giorno, tra l’altro ricevuto tramite gli aiuti dell'UNRWA, che fornisce sostegno a centinaia di migliaia di persone nella Striscia di Gaza.
Nemmeno i settori agricolo e dell’allevamento si sono salvati dalla brutale aggressione israeliana. I bulldozer israeliani hanno distrutto e raso al suolo 627.175 ettari coltivati, per lo più frutteti, ossia 448.298 alberi, ma anche 219 pozzi che servivano ad irrigare le colture, mentre per quanto concerne il settore zootecnico le forze di occupazione hanno ucciso 8.912 animali, tra pollame e bestiame. E' opportuno ricordare che la Striscia di Gaza è ancora in piena rovina: nemmeno una casa è stata ricostruita come si deve, a causa dell'ignobile embargo israeliano che costringe un milione e mezzo di persone in una grande ‘prigione a cielo aperto’. Anzi, Gaza è molto peggio di una prigione, perché gli israeliani vi impediscono l'introduzione della maggior parte dei generi di prima necessità, come il latte per i bambini e le medicine, eccetto quel poco che arriva tramite le ‘carovane di solidarietà’ con la gente di Gaza che riescono sporadicamente a rompere l’embargo.
Gaza - Un giorno che non può essere cancellato dalla memoria del mondo intero. Aerei da guerra sfrecciano nel cielo e lanciano missili e bombe sulle sedi delle amministrazioni, sulle abitazioni e sui civili innocenti. Intere famiglie sterminate, case rase al suolo, esplosioni e urla di mamme e bambini… le sirene delle ambulanze che non smettono mai di suonare. Questa è la scena che si vive a Gaza a mezzogiorno del 27 dicembre 2008.
Quel giorno, le forze di occupazione israeliane hanno perpetrato i crimini più incredibili e orrendi contro le persone e le cose. Quella data ha segnato infatti l'inizio dell’aggressione alla Striscia di Gaza (un fazzoletto di terra di appena 360 chilometri quadrati, lunga circa 40 km e larga appena 9) sotto falsi pretesti: l'eliminazione di Hamas, votato dal popolo palestinese, e la liberazione di Gilad Shalit, il soldato israeliano catturato dai gruppi della Resistenza palestinese. Ma Hamas è rimasta dov’era e Shalit non è stato liberato.
Omicidi di massa
Nello stesso periodo, oltre 50 aerei da guerra hanno attaccato più di 200 obiettivi nella Striscia di Gaza. In soli due minuti hanno distrutto la maggior parte delle sedi della polizia nella Striscia e hanno ucciso più di 220 cittadini, ferendone oltre 600. Ma i micidiali aerei da guerra non si sono fermati lì: hanno continuato a bombardare la Striscia di Gaza per otto giorni consecutivi, colpendo le case di civili che non hanno a che fare con la Resistenza, le ambulanze, i centri dell'agenzia delle Nazioni Unite, l'UNRWA, per non parlare di scuole e ospedali, pieni di decine di migliaia di sfollati.
Dopo questi otto giorni, centinaia di carri armati e truppe di terra hanno invaso le città e i campi profughi vicini alla frontiera, cancellando interi quartieri abitati. Secondo le statistiche delle Nazioni Unite e delle organizzazioni per i diritti umani nella Striscia di Gaza, 11.154 sono le case distrutte dalle forze israeliane nel corso dei 23 giorni di guerra contro Gaza: 3.632 quelle distrutte del tutto, 8.522 quelle distrutte parzialmente, mentre le case danneggiate lievemente sono circa 52.000.
Interi quartieri rasi al suolo
A causa della distruzione di quelle case, decine di migliaia di famiglie adesso vivono all'aperto, senza riparo. Al momento della stesura di questo articolo, mercoledì 23 dicembre 2009, secondo un censimento delle Nazioni Unite le persone che vivono senzatetto, a seguito della distruzione delle loro case, sono 107.509, tra cui ovviamente bambini, anziani, donne...
Nonostante le numerose promesse di diversi organismi ufficiali internazionali riguardanti la ricostruzione delle case distrutte – promesse fatte durante la ‘Conferenza dei donatori’ svoltasi a Sharm el-Shaykh, in Egitto, dopo l’aggressione israeliana a Gaza -, tali buone intenzioni non si sono ancora concretizzate. Il volume delle perdite stimate durante quella conferenza ammontava a due miliardi di dollari.
Il corrispondente di Infopal.it a Gaza ci propone un caso tra le migliaia di persone che vivono senzatetto e che attendono che questa situazione cambi, ovvero che i cosiddetti ‘donatori’ attuino le loro promesse e gli occupanti israeliani tolgano l'immorale embargo imposto alla Striscia di Gaza.
Si tratta del caso della famiglia di Mohammad Khader, composta da tre membri: due femmine e un maschio, tutti affetti da malattie croniche: il fratello maggiore ha 50 anni ed è infermo, mentre le due sorelle soffrono di malattie cardiache e di problemi muscolari. Questa famiglia ha perso la propria casa il dodicesimo giorno dell’aggressione a Gaza, quando gli aerei da guerra israeliani hanno bombardato il quartiere dove abitavano, il quartiere as-Salam (la Pace, ndr), a nord della Striscia. Lì gli israeliani hanno demolito tutto, e fortunatamente la Croce Rossa ha prontamente evacuato gli abitanti del quartiere prima che venisse distrutto totalmente dagli aerei e dai carri armati israeliani.
Su‘ad, la sorella maggiore, ci ha guardato con le lacrime dell'angoscia e del dolore, ma all'improvviso ha detto ad alta voce: "Ogni giorno vengono i vari media e ci intervistano per puntare i riflettori sulla nostra sofferenza, ma non vediamo nessuno che si dà da fare concretamente. Io, mio fratello e mia sorella abbiamo bisogno di cure, in particolare la mia sorellina che ha bisogno di medicine per 250 dollari al mese, una somma esorbitante che non abbiamo e che possiamo ottenere solo attraverso l'aiuto di alcune organizzazioni locali".
Questa famiglia, che vive in una tenda di stoffa ricevuta dall'agenzia delle Nazioni Unite UNRWA, rivolge dunque un appello agli spiriti liberi di tutto il mondo affinché la aiutino a ricostruirsi una casa per proteggersi dal freddo dell'inverno e dalla pioggia che scorre sotto i loro piedi mentre stanno nella tenda, per non parlare della mancanza di coperte adatte…
Distruzione sistematica
L’aggressione contro Gaza non si è limitata a colpire gli uomini e le abitazioni. Gli israeliani hanno distrutto intenzionalmente l'economia della Striscia di Gaza: 211 stabilimenti industriali, che vanno dalle fabbriche tessili alle ferriere, dalle industrie chimiche alle fabbriche di laterizi, oltre al danneggiamento di ben 721 attività commerciali, che ha lasciato migliaia di persone senza lavoro. Perciò, il tasso di disoccupazione ha raggiunto livelli record anche in confronto ai Paesi più poveri del mondo. Infatti, secondo le recenti statistiche delle Nazioni Unite, essa è aumentata a causa dell’ininterrotto embargo israeliano imposto alla Striscia di Gaza, al quale si è aggiunta l’aggressione dell’inverno scorso: adesso siamo al 73%, col reddito pro capite che è inferiore a un dollaro al giorno, tra l’altro ricevuto tramite gli aiuti dell'UNRWA, che fornisce sostegno a centinaia di migliaia di persone nella Striscia di Gaza.
Nemmeno i settori agricolo e dell’allevamento si sono salvati dalla brutale aggressione israeliana. I bulldozer israeliani hanno distrutto e raso al suolo 627.175 ettari coltivati, per lo più frutteti, ossia 448.298 alberi, ma anche 219 pozzi che servivano ad irrigare le colture, mentre per quanto concerne il settore zootecnico le forze di occupazione hanno ucciso 8.912 animali, tra pollame e bestiame. E' opportuno ricordare che la Striscia di Gaza è ancora in piena rovina: nemmeno una casa è stata ricostruita come si deve, a causa dell'ignobile embargo israeliano che costringe un milione e mezzo di persone in una grande ‘prigione a cielo aperto’. Anzi, Gaza è molto peggio di una prigione, perché gli israeliani vi impediscono l'introduzione della maggior parte dei generi di prima necessità, come il latte per i bambini e le medicine, eccetto quel poco che arriva tramite le ‘carovane di solidarietà’ con la gente di Gaza che riescono sporadicamente a rompere l’embargo.
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Etichette: diritti umani, gaza, palestina
mercoledì 23 dicembre 2009
Inquinano da secoli, il conto lo paghino i ricchi
Simone Pieranni Il Manifesto
PECHINO - Copenhagen è distante dalla Cina, non solo geograficamente. Cambiamento climatico a Pechino vuol dire lo squarcio azzurro dopo giorni di grigio acido, inquinato, di traffico snervante, sempre di più, e delle consuete carrette cariche di carbone che affollano gli hutong, i vicoli formati dal susseguirsi delle abitazioni tradizionali. In attesa di ridurre le emissioni, ci si ripara dal gelo con ogni mezzo. Carbone che si alza e si confonde con la polvere dei mille cantieri aperti, con altri gas e tutto quanto è portato dall'industrializzazione cinese.
Un processo enorme ma recente: per questo risolvere la delicata questione climatica è responsabilità dei paesi ricchi. Che inquinano da secoli, mica da trent'anni: «Noi faremo quello che possiamo, ma tocca ai paesi industrializzati impegnarsi più degli altri» conclude laconicamente un cinese su un forum di discussione on line.
Copenhagen è distante, ci pensino i politici, è la sintesi. D'altronde a impegnarsi ci sono i numeri uno e i futuri potenziali leader. Li Keqiang - che le poche indiscrezioni politiche pechinesi danno come avversario diretto e agguerrito di Xi Jinping, per raccogliere l'eredità di Hu Jintao e inaugurare la quinta generazione - è a capo del Consiglio cinese per la cooperazione internazionale su ambiente e sviluppo, mentre Wen Jiabao - secondo i media cinesi, e non solo - è atterrato a Copenhagen nella veste di risolutore di problemi.
L'arrivo del premier cinese ha infatti cambiato i racconti dalla capitale danese: dal gelo cinese si è passati all'incertezza. È pur sempre qualcosa, anche se i preparativi per un vertice delicato si erano già avuti a Pechino. I cinesi non si interessano alle questioni mondiali, finché in qualche modo non viene intaccato l'amor proprio nazionale. Finora nei blog o nei forum on line non si assiste a commenti vibranti, ma a tante parole di speranza. Tutto concentrato sulla Cina: pochissime righe sugli scontri e le proteste. Tanta retorica, come nelle comunicazioni ufficiali dell'entourage cinese da Copenhagen: «La Cina attribuisce priorità massima alla questione climatica» si legge.
In attesa che l'agenda vada avanti, come affermato da Wen Jiabao, in Cina si osserva e si tace. Il Global Times ha lanciato l'hot forum sul caso, ma la discussione insegue i temi ufficiali e lancia strali, al massimo, contro i paesi ricchi. E dire che in Cina invece il dibattito tra riviste e personaggi di rilievo si è avuto prima di Copenhagen: a ridosso della visita di Obama era scoppiato un mini scandalo legato ad alcune cifre pubblicate da China Daily e riprese dal Financial Times che aveva scritto come la Cina fosse «in corsa per assumere la leadership verde mondiale».
Tanto che in un editoriale del Nanfangzhoumo, di solito cautamente indipendente nelle sue inchieste, non si andava per il sottile, sottolineando l'impegno cinese a fronte della «mancanza di impegno concreto da parte degli Stati Uniti», nonché l'affermarsi della nuova leadership cinese in tema di cambiamenti climatici, a fronte di un declino yankee. «Al momento, era scritto, l'Ue si è impegnata a ridurre le emissioni del 20%, il governo giapponese di Hatoyama si è impegnato a una riduzione del 25%. La riduzione delle emissioni da parte cinese è condizionata: sono i capitali dei paesi sviluppati a dover sostenere le tecnologie».
Sulla questione si interrogano i giovani di Cop15China, sul cui sito si sono registrati molti volontari cinesi giunti a Copenhagen. Dopo aver chiarito quanto la Cina stia facendo sforzi immani per il miglioramento climatico, si chiedono: «la Cina può essere ancora considerata un paese in via di sviluppo?»
sabato 19 dicembre 2009
Il governo butta 330 milioni dal Ponte
Il Cipe approva un nuovo finanziamento per l'opera pubblica cara a Berlusconi. E l'Impregilo ringrazia
da Andrea Palladino su ilmanifesto.it
L'ultimo finanziamento del governo per l'opera che era stata scartata da Prodi è pari a 330 milioni di euro. «Una spintarella», ha commentato sorridente il presidente di Impregilo Massimo Ponzellini, arrivato a Palazzo Chigi mentre era in corso la riunione del consiglio dei ministri durante la quale sono stati stanziati i fondi aggiuntivi. La firma sul decreto è quella del Cipe, ovvero la cabina di regia economica dove siedono i principali ministri, oltre all'indagato per camorra Nicola Cosentino, con delega di Tremonti. I soldi stanziati entreranno direttamente all'interno della società Stretto di Messina Spa, che a sua volta li riverserà al general contractor, la Eurolink, società consortile guidata dal gigante Impregilo. Opera inutile, grimaldello per le speculazioni, boccone ricco per le mafie: sul ponte sullo Stretto è stato detto quanto sarebbe bastato per fermare la macchina del turbo capitalismo di Berlusconi. «Attribuiamo grande importanza alle infrastrutture del paese», ha però spiegato Matteoli ieri in tarda mattinata, durante al conferenza stampa del dopo consiglio dei ministri. E a Milano, nella sede dell'Impregilo, hanno festeggiato, preparandosi a gestire quella valanga di soldi e cemento che unirà le coste della Calabria e della Sicilia.
La società controllata dai gruppi Benetton, Gavio e Ligresti - con la partecipazione minoritaria delle Generali - ha poco dopo ricevuto una seconda grande notizia, questa volta da Bogotà. Una giornata speciale, da vero clima natalizio: in Colombia costruiranno una mega diga, dal valore di 600 milioni di dollari, riaprendo il filone sudamericano che si era un po' arrugginito dopo la fine poco gloriosa dell'avventura della gestione dell'acqua in Argentina. Nel continente latinoamericano, qualche anno fa, il colosso italiano delle mega opere pubbliche era stato mandato via dalla provincia di Buenos Aires - il presidente della provincia arrivò alla rescissione del contratto per inadempimento - dopo la rivolta della popolazione per la gestione controversa dell'acqua. Era il tempo della fine dell'era Menem e colossi come Suez e l'italiana Impregilo si trovarono al centro delle proteste popolari. E ancora oggi la società che gestisce la «Autopista del sol», l'autostrada che collega Buenos Aires con altre importanti città e controllata per il 20% da Impregilo, si trova in difficoltà finanziarie serie, dovute, secondo l'azienda, «al mancato aumento dei pedaggi».
Oggi in Italia l'aria è differente. Il governo li ha di fatto perdonati per i problemi di Acerra, dove l'inceneritore ha dato non pochi grattacapi, anche giudiziari, mentre nessuno si mette a vedere il passato di azionisti del peso di Salvatore Ligresti, siciliano trapiantato con grande fortuna - sua - a Milano e "riabilitato" dal Tribunale dopo aver scontato una pena a due anni e quattro mesi - per le tangenti Eni-Sai - con un affidamento ai servizi sociali. L'economia in tempo di crisi, da queste parti, funziona così, con una sorta di Robin Tax al contrario: i milioni di euro si tolgono alla scuola, ai comuni, ai servizi, ai cittadini per riversarli nelle casse degli amici di sempre. Soldi destinati, tra l'altro, ad opere palesemente inutili.
«Io ho studiato a Messina - racconta un ragazzo del Csoa Angela Cartella di Reggio Calabria - e ci mettevo venticinque minuti per arrivare nel centro della città siciliana». Con il ponte ci vorrà probabilmente il doppio, visto che i due terminali saranno ben distanti dalle città dello stretto. Gli abitanti di Reggio Calabria sono i primi a rendersi conto dell'assoluta inutilità dell'opera miliardaria del governo Berlusconi. «Anzi è dannosa», spiegano. Perché le opere accessorie che sono state finanziate comporteranno lo stravolgimento del sistema ferroviario, realizzando una curva pericolosa all'altezza della città di Villa. Ed è paradossale pensare che il ponte sarà il terminale della Salerno - Reggio Calabria, l'autostrada finanziata per decenni e mai finita, vera mucca da mungere per le cosche della 'ndrangheta, che hanno ricapitalizzato il traffico di droga con i soldi delle opere pubbliche. Ed è dalla Calabria che non vuole mafia e speculazione che arriverà sabato prossimo la risposta al progetto Berlusconi-Impregilo.
L'appuntamento è alle nove, a Villa San Giovanni.
CHE NE PENSATE?
Pubblicato da Lapilli alle 20:05 0 commenti
Etichette: Ponte, sicilia, stretto di messina
sabato 12 dicembre 2009
Turchia, scontri nel Paese dopo scioglimento partito curdo
Aspri scontri oggi in diverse città del Sudest curdo della Turchia, dopo che un tribunale ha sciolto un importante partito curdo, causando un arresto ai tentativi del governo di porre termine a decenni di conflitti in Paese che si candida a entrare nella Ue. Ad Ankara, i deputati del partito della Società Democratica (Dtp) hanno dichiarato che lasceranno il Parlamento per protestare contro la sentenza della Corte Costituzionale che ha sciolto il partito, sentenza che ha fatto preoccupare l'Ue e Washington. Nella città di Hakkari centinaia di manifestanti hanno affrontato la polizia in tenuta anti-sommossa lanciando molotov e pietre, secondo quel che mostrano le foto diffuse dal sito web del quotidiano Hurriyet. La polizia ha sparato con cannoni ad acqua e ha lanciato lacrimogeni ai manifestanti, che hanno innalzato barricate nelle strade. L'agenzia di stato Anatolian ha riferito che ad Akkari è rimasta ferita una ragazzina, e nella stessa città i manifestanti hanno aggredito due agenti di polizia che sono stati salvati da due ex funzionari del Dtp. Ci sono notizie di scontri anche a Van e di proteste nella città di Diyarbakir, la maggiore città del Sudest, dove la tensione resta alta. La Corte si è espressa ieri per lo scioglimento del Dtp dopo averlo ritenuto colpevole di cooperare con i militanti separatisti del Partito dei lavoratori del Kurdistan, il Pkk. La sentenza ha fatto piombare il partito a maggioranza musulmana nell'incertezza politica, minando i tentativi del partito del primo ministro Tayyip Erdogan, l'Ak, di riconciliarsi con la minoranza curda e di porre termine a decenni di conflitto.
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giovedì 10 dicembre 2009
Misterioso fascio di luce nei cieli della Norvegia. Ufo o missile russo?
Ticino Libero
La spiegazione ufficiale per il fenomeno celeste nei cieli della Norvegia che ha messo in allarme gli ufologi di tutto il mondo e fatto restare i norvegesi incantati con il naso all’insù, sarebbe un esperimento andato a male del missile russo Bulava.
Le luci apparse mercoledì poco prima delle otto del mattino dalla provincia di Trøndelag sino a Finnmark, formazioni luminose di colore blù a forma di spirale, non sono quelle di un’astronave aliena. Né si è trattato di una meteora in rotta di collisione con la terra e nemmeno di un qualche strano fenomeno atmosferico.Il quotidiano russo Vedomosti, citando una fonte militare, ha spiegato che si è trattato del fallimento di un test del missile balistico navale russo RSM-56 Bulava.
L’apparizione è iniziata con la formazione di un globo luminoso irradiante anelli di luce che avevano preso la forma di una spirale, bianca verso l’esterno e di blu verso il nucleo, una forma ancora più grande della luna.La spirale ha percorso un tratto di cielo lasciando dietro di sé una scia bluastra. Si tratterebbe appunto degli effetti dovuti alla traiettoria deviata del missile, del carburante liberato e della reazione con l’atmosfera ad alta quota.
La spiegazione ufficiale per il fenomeno celeste nei cieli della Norvegia che ha messo in allarme gli ufologi di tutto il mondo e fatto restare i norvegesi incantati con il naso all’insù, sarebbe un esperimento andato a male del missile russo Bulava.
Le luci apparse mercoledì poco prima delle otto del mattino dalla provincia di Trøndelag sino a Finnmark, formazioni luminose di colore blù a forma di spirale, non sono quelle di un’astronave aliena. Né si è trattato di una meteora in rotta di collisione con la terra e nemmeno di un qualche strano fenomeno atmosferico.Il quotidiano russo Vedomosti, citando una fonte militare, ha spiegato che si è trattato del fallimento di un test del missile balistico navale russo RSM-56 Bulava.
L’apparizione è iniziata con la formazione di un globo luminoso irradiante anelli di luce che avevano preso la forma di una spirale, bianca verso l’esterno e di blu verso il nucleo, una forma ancora più grande della luna.La spirale ha percorso un tratto di cielo lasciando dietro di sé una scia bluastra. Si tratterebbe appunto degli effetti dovuti alla traiettoria deviata del missile, del carburante liberato e della reazione con l’atmosfera ad alta quota.
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mercoledì 2 dicembre 2009
NOVITA' LAPILLIANE AL CREPUSCOLO DEL 2009...
Ci scusiamo con i nostri lettori telematici per l'interruzione dell'aggiornamento del blog. Ci stiamo riorganizzando anche per voi con nuovi collaboratori on line. Lapilli è ancora vivo e vegeto, e non ha mai smesso di essere pubblicato. Sta per uscire il nuovo numero, l'ultimo del 2009, in nuovo formato tascabile. Disponibile in cartaceo, ma anche scaricabile on-line. In questo ultimo scorcio dell’anno, e per iniziare il 2010 all’insegna del cambiamento di look e sotto i migliori auspici, proponiamo il nuovo formato “pocket”, maneggevole e a portata di borsetta. Un modo come un altro per festeggiare il Natale ormai alle porte. Anche se, nel mondo che ci circonda, e nel nostro territorio catanese in particolare, non pare esserci molto da festeggiare… Le tematiche che affronteremo, non a caso, sono tutt’altro che natalizie. Attualità, attualità e ancora attualità. Perchè, detto tra noi, è di informazione che abbiamo bisogno. Vogliamo capire, riflettere su cosa sta accadendo attorno a noi. Senza filtri e censure.
Qualche anticipazione: troverete articoli su Giustizia e politica, sul processo breve, sugli effetti del Pacchetto Sicurezza sull’immigrazione, sulla salute e l'influenza A, sul caso editoriale "Il fatto Quotidiano", sul centro sociale Experia di Catania, recentemente chiuso e poi rioccupato dai cittadini.
A presto allora. E buon Natale a tutti.
Il direttore E. G. Papa
Qualche anticipazione: troverete articoli su Giustizia e politica, sul processo breve, sugli effetti del Pacchetto Sicurezza sull’immigrazione, sulla salute e l'influenza A, sul caso editoriale "Il fatto Quotidiano", sul centro sociale Experia di Catania, recentemente chiuso e poi rioccupato dai cittadini.
A presto allora. E buon Natale a tutti.
Il direttore E. G. Papa
Pubblicato da Lapilli alle 17:33 5 commenti
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