Per lo Stato Italiano, soltanto i 250 dipendenti pubblici del Ministero per i Beni Culturali hanno la qualifica di "archeologo" – nonostante abbiano lauree in altri ambiti. Di conseguenza, a partire dagli anni Settanta sono nate delle Cooperative Archeologiche, che – data la carenza normativa in materia – possono imporre condizioni di lavoro veramente disagevoli. Ad esempio, l'archeologo è costretto ad aprire partita I.v.a. e lavorare come libero professionista. Le paghe sono davvero ridotte ai minimi termini: per otto ore al giorno su un cantiere, privo di cassa integrazione e delle garanzie riservate ai dipendenti pubblici, riceve 80€ al giorno (su cui deve pagare tutte le tasse previste per il libero professionista).
Per mettere ordine in questo vuoto normativo sono nate l'Associazione Nazionale Archeologi e la Confederazione Nazionale Archeologi. L'A.n.a. rappresenta 2500 iscritti, provenienti da tutte le regioni d'Italia. Grazie a loro, in Parlamento è ora in lavorazione una proposta di legge, presentata dall'On. Madia del Pd, per regolamentare la professione. Uno dei punti fondamentali del testo è l'inserimento all'interno del Codice Urbani – che regola la materia dei Beni Culturali – della definizione "archeologo". Infatti, nel testo di legge si fa riferimento soltanto a tecnici e persone che "ritrovano ciò che è antico". Una definizione così ampia da aprire la strada a mercenari ed Indiana Jones privi di curriculum adeguato. La professione dell'archeologo non è soltanto lo scavo tecnico, ma è soprattutto la fase di ricerca scientifico-storica che lo precede.
Per valorizzare tutto questo, sia l'A.n.a. che la C.i.a. hanno redatto dei codici deontologici che ogni archeologo e cooperativa dovrebbe seguire, per il giusto rapporto morale ed etico nei riguardi del bene archeologico e dei colleghi. Prima cooperativa archeologica ad adottare il codice è stata ArcheologiAttiva, una libreria che fornisce servizi per missioni in Italia ed all'estero, nonché per il turismo integrato. Tra i capisaldi seguiti c'è proprio l'idea che l'archeologo non sia soltanto un "ritrovatore", ma soprattutto colui che "scrive la storia". E gli deve essere riconosciuto.
Alessio Viscardi Avanguardie 11 Gennaio 2010